Non chiamatemi fratello, non sono della tribù

bikerciuc

Biker infernalis
Non chiamatemi fratello, non sono della tribù!

Ovvero confessioni occidentali di un biker controcorrente​

Sono un ribelle, un miscredente, un misantropo, un estremista. Lo diventai per difendermi dall’idiozia del mio mondo adolescenziale fatto di “paninari” e “baciapile” quando non di “paninari-baciapile” che erano l’universo intero del cattolicissimo liceo della prima cintura nel quale mi ero ritrovato “confinato”.

La Domenica e la montagna erano il mio rifugio. Imparai a conoscere, a scoprire e a gioire della scoperta. In silenzio. Sviluppai le mie regole: antitetiche, lapidarie ed inviolabili.
Così, mentre i miei pii e vestitissimi compagnucci si recavano a frequentissimi ed interminabili ritiri spirituali (ero l’unico a non andare) per compiacere l’ecclesiastico corpo docente io vagavo per boschi e pendii, fiero di rivendicare il mio diritto a farmi i cazzi miei almeno la domenica, con o senza il beneplacito di Dio, e forse perfino disposto a sopportare che per questo qualche suo ministro della fede provvedesse ad interrogarmi puntualmente ogni lunedì dovendo farmi scontare il mancato incasso della mia confessione -invariabilmente incentrata sul numero di volte in cui uno si “toccava” nella settimana- prima della messa serale di fine ritiro.

Avendo legato il concetto di montagna a una scelta esistenziale, il mio approccio diventò elitario, estremista, selettivo. Essa era diventata una sorta di luogo sacrale dove si affermava la mia indipendenza dalle regole della società civile. Parallelamente a questa visione -distorta o meno che fosse e sia- si sviluppava la mia idiosincrasia per tutto quanto di “urbano” il turista della domenica volesse portare sulla montagna: la 127 da lavare in riva al torrente, le radio, i palloni da calcio, i tavolini delle orde barbariche che infestavano i prati armate del più spaventoso ordigno che il “merendero” anni ’80 fu capace di inventare: “il pizzamatic”, una specie di bomba a gas spalleggiabile e in genere utilizzata per cucinare en plein air caponate,pizze,”milinzani” e quant’altro. Alla stessa stregua motociclisti, fuoristradisti e quanti non riuscivano ad accontentarsi di stare per un attimo in silenzio ma dovevano portarsi fin lassù un qualunque sonoro ricordo del mondo civile quasi a scongiurare il latente pericolo di dover ascoltare per un attimo i loro pensieri a causa dell’assenza di rumore.

Già…alla montagna ci si può adattare come facevano i pastori o portarci per qualche ora la propria più o meno invasiva e discutibile civiltà.

Gli anni, è ovvio, limano un po’ gli spigoli, ma quegli stessi pensieri non mi abbandonano mai del tutto nel vedere che la montagna è sempre più fruita in modo consumistico e sempre più in tale modo si cerca di venderla a masse via via crescenti.

Per questo abbiamo fior di riviste a celebrare le gesta di “truzzetti” stranieri di indiscutibile bravura vestiti per “far tendenza” più che sport…per uniformarsi a questi e sembrare altrettanto bravi occorrerà calarsi completamente nella parte prevista e canonizzata: il biker si vestirà adeguatamente, userà con proprietà lo “slang” caratteristico, ascolterà musica in linea con il trend più o meno adrenalinico di quanto applicato sul campo, in una specie di continua e precisa adesione al “manifesto ideologico” che sancisce i requisiti minimi per essere parte della tribù.
Se sarete dei “dirtisti” o dei “friraider” da “baikpark” allora vi toccherà avere sempre in cuffia o in amplificazione tipo stadio la tecno o un miscuglio di suoni,rumori & rutti tipo rap…anche se vi trovate al margine di un bosco, anche se sarete in un posto nel quale, per una volta, varrebbe la pena di aver dimenticato a casa il frastuono della civiltà insieme all’improbabile guardaroba fatto di cappellini di lana da calcare sugli occhi e di braghe dal cavallo troppo basso per pensare davvero di poterci cavalcare una bicicletta.

La teoria del “requisito minimo” per essere omologato al volere modaiolo tribale mi sconvolge così come la promozione di tutti quegli enti (commerciali e istituzionali) che cercano, attraverso lo stesso tipo di immagini evocative, di proporre al grande pubblico la montagna esclusivamente come un “terreno di gioco” senza voler nemmeno prendere in considerazione che essa è prima di tutto un ecosistema naturale che talvolta reca tracce importanti di culture e civiltà umane passate la cui “esplorazione” potrebbe avere perlomeno un “valore aggiunto” per l’offerta turistica.
L’approccio consumistico svilisce la montagna. Un pendio alpino non può e non deve essere posto alla stregua di una rampa da allenamento piazzata in un sordido contesto suburbano con il doveroso contorno di graffiti di varia natura e con l’immancabile filodiffusione di suoni, rumori & rutti sempre troppo sonora.

Il marketing consumista cerca il grande numero, l’economia di scala, l’ottimizzazione delle risorse, l’industrializzazione del processo produttivo dell’offerta.
Il grande numero è inversamente proporzionale alla fatica necessaria.
Il grande numero è inversamente proporzionale alla qualità dell’offerta.
Il grande numero conterrà per postulato un numero più elevato di idioti.
La montagna non è fatta per i grandi numeri, se io piscio contro un larice non succede niente, se ci pisciamo in cinquecento il larice muore.

Volenti o nolenti progresso porterà sempre più persone in montagna con sempre meno fatica e queste saranno sempre meno preparate a rapportarsi con l’ambiente naturale in quanto sempre meno disposte a sacrificare qualcosa per conoscerlo.
Si consoliderà sempre di più la figura indefinita di un “eroe della domenica globale”, abbigliato con schinieri e corazze al pari di un principe acheo, combatterà su cavalcature ipertecnologiche le sue “battaglie” su pochi campi universalmente riconosciuti idonei da un grande numero di guerrieri e potrà comodamente rifocillarsi concludendo le sue tenzoni sulle terrazze di altrettanti ristori strategicamente posti alla fine di ogni discesa ove, indipendentemente che egli si trovi a Whistler mountain o in Valle di Susa, gli verrà servito lo stesso cheese-burger con le stesse patatine fritte perché la cultura del territorio, come è noto, si fa anche a tavola e perché a questo tipo di eroe fregherà sempre meno della cultura e delle tradizioni del posto che avrà la fortuna di ospitare le sue luminose gesta.
Niente di male, è economia. Però mi spiace che montagne come le mie, ricche di storia, di tradizioni ,di limpidi esempi di indipendenza politico-culturale e della possibilità di raccontare una parte di tutto ciò attraverso i loro sentieri abiurino ancora una volta qualsiasi riferimento alla loro peculiarità territoriale volendo presentarsi al grande pubblico soltanto come una trentina di percorsi attrezzati (campi di battaglia?) per eroi della domenica utili in fondo per scendere senza perdersi sulla cassa un qualche anonimo fast food d’alta quota.

E’ vero che infondo andiamo tutti in bicicletta, ma nessuno mi chiami fratello, non sono della tribù.



Vostro
Bikerciuc
 

marzia

Modera_i_tour?
24/6/03
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sondrio
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Non chiamatemi fratello, non sono della tribù!



Ovvero confessioni occidentali di un biker controcorrente


Sono un ribelle, un miscredente, un misantropo, un estremista. Lo diventai per difendermi dall’idiozia del mio mondo adolescenziale fatto di “paninari” e “baciapile” quando non di “paninari-baciapile” che erano l’universo intero del cattolicissimo liceo della prima cintura nel quale mi ero ritrovato “confinato”.

La Domenica e la montagna erano il mio rifugio. Imparai a conoscere, a scoprire e a gioire della scoperta. In silenzio. Sviluppai le mie regole: antitetiche, lapidarie ed inviolabili.
Così, mentre i miei pii e vestitissimi compagnucci si recavano a frequentissimi ed interminabili ritiri spirituali (ero l’unico a non andare) per compiacere l’ecclesiastico corpo docente io vagavo per boschi e pendii, fiero di rivendicare il mio diritto a farmi i cazzi miei almeno la domenica, con o senza il beneplacito di Dio, e forse perfino disposto a sopportare che per questo qualche suo ministro della fede provvedesse ad interrogarmi puntualmente ogni lunedì dovendo farmi scontare il mancato incasso della mia confessione -invariabilmente incentrata sul numero di volte in cui uno si “toccava” nella settimana- prima della messa serale di fine ritiro.

Avendo legato il concetto di montagna a una scelta esistenziale, il mio approccio diventò elitario, estremista, selettivo. Essa era diventata una sorta di luogo sacrale dove si affermava la mia indipendenza dalle regole della società civile. Parallelamente a questa visione -distorta o meno che fosse e sia- si sviluppava la mia idiosincrasia per tutto quanto di “urbano” il turista della domenica volesse portare sulla montagna: la 127 da lavare in riva al torrente, le radio, i palloni da calcio, i tavolini delle orde barbariche che infestavano i prati armate del più spaventoso ordigno che il “merendero” anni ’80 fu capace di inventare: “il pizzamatic”, una specie di bomba a gas spalleggiabile e in genere utilizzata per cucinare en plein air caponate,pizze,”milinzani” e quant’altro. Alla stessa stregua motociclisti, fuoristradisti e quanti non riuscivano ad accontentarsi di stare per un attimo in silenzio ma dovevano portarsi fin lassù un qualunque sonoro ricordo del mondo civile quasi a scongiurare il latente pericolo di dover ascoltare per un attimo i loro pensieri a causa dell’assenza di rumore.

Già…alla montagna ci si può adattare come facevano i pastori o portarci per qualche ora la propria più o meno invasiva e discutibile civiltà.

Gli anni, è ovvio, limano un po’ gli spigoli, ma quegli stessi pensieri non mi abbandonano mai del tutto nel vedere che la montagna è sempre più fruita in modo consumistico e sempre più in tale modo si cerca di venderla a masse via via crescenti.

Per questo abbiamo fior di riviste a celebrare le gesta di “truzzetti” stranieri di indiscutibile bravura vestiti per “far tendenza” più che sport…per uniformarsi a questi e sembrare altrettanto bravi occorrerà calarsi completamente nella parte prevista e canonizzata: il biker si vestirà adeguatamente, userà con proprietà lo “slang” caratteristico, ascolterà musica in linea con il trend più o meno adrenalinico di quanto applicato sul campo, in una specie di continua e precisa adesione al “manifesto ideologico” che sancisce i requisiti minimi per essere parte della tribù.
Se sarete dei “dirtisti” o dei “friraider” da “baikpark” allora vi toccherà avere sempre in cuffia o in amplificazione tipo stadio la tecno o un miscuglio di suoni,rumori & rutti tipo rap…anche se vi trovate al margine di un bosco, anche se sarete in un posto nel quale, per una volta, varrebbe la pena di aver dimenticato a casa il frastuono della civiltà insieme all’improbabile guardaroba fatto di cappellini di lana da calcare sugli occhi e di braghe dal cavallo troppo basso per pensare davvero di poterci cavalcare una bicicletta.

La teoria del “requisito minimo” per essere omologato al volere modaiolo tribale mi sconvolge così come la promozione di tutti quegli enti (commerciali e istituzionali) che cercano, attraverso lo stesso tipo di immagini evocative, di proporre al grande pubblico la montagna esclusivamente come un “terreno di gioco” senza voler nemmeno prendere in considerazione che essa è prima di tutto un ecosistema naturale che talvolta reca tracce importanti di culture e civiltà umane passate la cui “esplorazione” potrebbe avere perlomeno un “valore aggiunto” per l’offerta turistica.
L’approccio consumistico svilisce la montagna. Un pendio alpino non può e non deve essere posto alla stregua di una rampa da allenamento piazzata in un sordido contesto suburbano con il doveroso contorno di graffiti di varia natura e con l’immancabile filodiffusione di suoni, rumori & rutti sempre troppo sonora.

Il marketing consumista cerca il grande numero, l’economia di scala, l’ottimizzazione delle risorse, l’industrializzazione del processo produttivo dell’offerta.
Il grande numero è inversamente proporzionale alla fatica necessaria.
Il grande numero è inversamente proporzionale alla qualità dell’offerta.
Il grande numero conterrà per postulato un numero più elevato di idioti.
La montagna non è fatta per i grandi numeri, se io piscio contro un larice non succede niente, se ci pisciamo in cinquecento il larice muore.

Volenti o nolenti progresso porterà sempre più persone in montagna con sempre meno fatica e queste saranno sempre meno preparate a rapportarsi con l’ambiente naturale in quanto sempre meno disposte a sacrificare qualcosa per conoscerlo.
Si consoliderà sempre di più la figura indefinita di un “eroe della domenica globale”, abbigliato con schinieri e corazze al pari di un principe acheo, combatterà su cavalcature ipertecnologiche le sue “battaglie” su pochi campi universalmente riconosciuti idonei da un grande numero di guerrieri e potrà comodamente rifocillarsi concludendo le sue tenzoni sulle terrazze di altrettanti ristori strategicamente posti alla fine di ogni discesa ove, indipendentemente che egli si trovi a Whistler mountain o in Valle di Susa, gli verrà servito lo stesso cheese-burger con le stesse patatine fritte perché la cultura del territorio, come è noto, si fa anche a tavola e perché a questo tipo di eroe fregherà sempre meno della cultura e delle tradizioni del posto che avrà la fortuna di ospitare le sue luminose gesta.
Niente di male, è economia. Però mi spiace che montagne come le mie, ricche di storia, di tradizioni ,di limpidi esempi di indipendenza politico-culturale e della possibilità di raccontare una parte di tutto ciò attraverso i loro sentieri abiurino ancora una volta qualsiasi riferimento alla loro peculiarità territoriale volendo presentarsi al grande pubblico soltanto come una trentina di percorsi attrezzati (campi di battaglia?) per eroi della domenica utili in fondo per scendere senza perdersi sulla cassa un qualche anonimo fast food d’alta quota.

E’ vero che infondo andiamo tutti in bicicletta, ma nessuno mi chiami fratello, non sono della tribù.



Vostro
Bikerciuc

sarà, ma ho quasi gli occhi lucidi..
 

Teo66

Biker Cazzaribus
30/6/10
2.423
3.357
0
57
Capanna Monte Bar
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Bike
1 nera 1 elettrica
Perfettamente d'accordo, ho abbandonato molti posti per i motivi che hai esposto ma ne ho scoperti di nuovi.
Per fortuna ci sarà sempre una salita troppo ripida, un passaggio troppo stretto o troppi metri di dislivello che scremeranno dal gruppo coloro che la montagna non la capiscono.
 
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resina65

Biker grossissimus
18/5/06
5.191
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imperia
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Perfettamente d'accordo, ho abbandonato molti posti per i motivi che hai esposto ma ne ho scoperti di nuovi.
Per fortuna ci sarà sempre una salita troppo ripida, un passaggio troppo stretto o troppi metri di dislivello che scremeranno dal gruppo coloro che la montagna non la capiscono.

basta che non continuino ad asfaltare, ad allargare, a scavare, a tracciare, ecc..:arrabbiat:
 

ak-47

Biker ciceronis
4/10/08
1.437
2
0
gragnano NA
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quasi commovente questo tuo pensiereo.

complimenti per il voler uscire dagli schemi scaturito da un bisogno verace, più che da una voglia di distinguersi dalla massa a tutti i costi
 

Geppa®

Biker novus
E' uno dei primissimi post che scrivo sul forum, e dopo tanto, tanto, tanto leggere sento di dover rispondere al tuo scritto con una stretta di mano virtuale ma sincera e sentita.

Hai espresso chiaramente e direttamente quello che è il mio legame con la montagna e il mio concetto di natura, e hai la mia stima per le parole che hai detto e per come le hai dette.

Francesco "Geppa"
 

maxilconte

Biker infernalis
8/2/06
1.945
14
0
Trieste
www.triestefreeride.it
Tutto molto vero.
O abbastanza.
Se in uno stato di grazia dato dalla situazione unica e preziosa dovessi incrociare uno di quelli che hanno risposto, così come chiunque altro sia ben inteso, mi sentirei comunque defraudato del momento.
Voi direte che uno o 100 in più fanno la differenza. Vero. Ma per lo stesso motivo bisognerebbe "accettare" anche le sfumature che vi intercorrono.
Il Forum è pieno di argomentazioni a favore e contro; leggendole non si può fare a meno di dar ragione alle une e alle altre. Perchè non sviluppare i bike park nei luoghi già compromessi dagli impianti? Perchè, al contrario, non vietare in toto le bici dai sentieri? In fondo sono stati creati per i piedi e non per le ruote. Sulle carrarecce e stop! Ha una logica. Sinceramente quando vedo le immagini delle gesta epiche del buon Nonnocarb non posso fare a meno di pensare che LI' la bici non centra nulla! Ma QUANTO vorrei esserci anche io!!!
Ho una figlia ancora piccola. Mi auguro certamente che un domani scorrazzi per i monti con la bici. Per evitare tutto il pattume che purtroppo esiste per le città. Bene, se mi verrà a casa facendo "Yo, yo oggi vado con la crew a provare un nuovo drop" tornando dopo un paio d'ore sudata e scorticata... beh, ben vengano le crews che girano per i monti!
Modus in rebus!
 

DR_Balfa

Biker grossissimus
:-)

come non essere d'accordo... il legame con la montagna è qualcosa che non si può spiegare e non passa per il marketing... io vivo vicino ad una montagna che "non perdona" esclusi i pochi posti in valle e i pochissimi in quota facilmente raggiungibili non c'è "trippa per turisti" o si fatica o niente :-)

ciao
 

joydivision

Biker ultra
6/2/10
604
0
0
Tra il Tiepido e il Guerro.
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Bike
26
Con la bici o senza basta guardarsi attorno per vedere che molti ragionano con pensieri confezionati da altri.
Estraniarsi da questo mondo è difficile, ma almeno avere la cosapevolezza che molte delle scelte che facciamo non sono scelte, questo si può.
La tribù va in bici o in macchina, al mare o con una certa firma e sono felici così.
Purtroppo più invecchio e più mi rendo conto che il mondo non cambierà mai, ma sta facendo cambiare me.
 

Astroluca

Biker velocissimus
13/10/05
2.463
19
0
Cesano Maderno (MB)
www.riccisportivi.it
Bike
Rose Uncle Jimbo 1, Cube Cross Race PRO
Tutto molto vero.
O abbastanza.
Se in uno stato di grazia dato dalla situazione unica e preziosa dovessi incrociare uno di quelli che hanno risposto, così come chiunque altro sia ben inteso, mi sentirei comunque defraudato del momento.
Voi direte che uno o 100 in più fanno la differenza. Vero. Ma per lo stesso motivo bisognerebbe "accettare" anche le sfumature che vi intercorrono.
Il Forum è pieno di argomentazioni a favore e contro; leggendole non si può fare a meno di dar ragione alle une e alle altre. Perchè non sviluppare i bike park nei luoghi già compromessi dagli impianti? Perchè, al contrario, non vietare in toto le bici dai sentieri? In fondo sono stati creati per i piedi e non per le ruote. Sulle carrarecce e stop! Ha una logica. Sinceramente quando vedo le immagini delle gesta epiche del buon Nonnocarb non posso fare a meno di pensare che LI' la bici non centra nulla! Ma QUANTO vorrei esserci anche io!!!
Ho una figlia ancora piccola. Mi auguro certamente che un domani scorrazzi per i monti con la bici. Per evitare tutto il pattume che purtroppo esiste per le città. Bene, se mi verrà a casa facendo "Yo, yo oggi vado con la crew a provare un nuovo drop" tornando dopo un paio d'ore sudata e scorticata... beh, ben vengano le crews che girano per i monti!
Modus in rebus!

Max, hai scritto quello che stavo pensando. Concordo. o-o
 

brunopiru

Biker poeticus
26/5/08
3.631
168
0
39
torino
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ciao!
da piccolo purtroppo non sono stato mai educato alla montagna,sicchè fino all'età di 19 anni,quando ho iniziato a surfare sulle bianche piste mi sono perso questi bellissimi paradisi.
ebbene si,sono uno snowboarder,un fruitore della montagna e delle risalite meccanizzate prima di essere un biker(novellissimo sono solo 2 anni di mtb!).devo dire che quello che dici è proprio vero,gente che molla la macchina a 50 metri da una risalita e poi schizza con lo ski pass legato alla giacca sulla seggiovia ce n'è troppa,ma a questa conclusione ci sono giunto solo da pochi anni.
ovvero da quando,complici i miei suoceri,ho cominciato a fare delle belle escursioni in montagna,ed oltre che vedere posti bellissimi sono incappato in fatti "curiosi".
gente che parcheggia le auto,apre il baule e tira fuori un tavolino per fare il picnic,facendo meno di 3(tre!)metri per portare tavolo.seggiole e stuoie per sdraiarsi!per poi raccontare ai colleghi dell'"escursione"spaccagambe della domenica e dei bellissimi posti che hanno visitato(!?!?!)
purtroppo è cosi,bisogna convivere con questi merenderos,quelli che lasciano ogni genere di pattume appena ritirano il bivacco e fanno altri 3 metri per salire sull'auto,che poi faranno partire sgommando e alzando polvere che poi noi escursionisti respiriamo!
ricordo ancora adesso quado,4 anni fa,vidi per la prima volta due persone che alle 6.30 di mattina cominciavano la scalata della vetta,armati solo di zaino e di sci con le pelli,mentre 2 poveri scemi che erano in seggiovia con me commentavano:"guarda quei pazzi!ma gli skilift c'erano già al tempo di mio nonno!"
invece io guardavo con curiosità quei 2 tizi,ma sopratutto provavo un enorme rispetto ed ammirazione per quei 2 impavidi che si fanno il culo 5 ore a salire per farsi mezz'ora di surfate sulla neve fresca.

lo stesso posso dire di chi in bici si guadagna la vetta con il sudore,anzichè con la seggiovia...

spero,da utente della montagna pentito,di essere perdonato e di essermi convertito in amante della montagna,e la prossima volta che andrò in settimana bianca,oltre alle seggiovie mi farò anche una bella "ciaspolata"!(le ho gia comprate!)
 
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