La Grande Escursione Appenninica, un sogno diventato realtà.
Questa è la storia di uno dei miei sogni a pedali, percorrere la GEA, ovvero la Grande Escursione Appenninica in mountain bike.
Perché? Perché adoro la mountain bike e la montagna, perché i paesaggi del crinale dell’Appennino sono fantastici, per l’avventura, per i luoghi selvaggi, e perché nessuno l’aveva mai fatto.
Cercavo l’avventura vera, che mi permettesse di misurarmi con me stesso e con la natura, ma che non comportasse andare dall’altra parte del mondo.
Il mio racconto di questo trail in mountain bike parte dal punto più lontano della traccia immaginaria che mi ha portato a realizzare questa idea.
E’ la mattina del 18 di aprile, sono sdraiato sul divano, ma non mi sto rilassando per niente, ho appena avvisato a lavoro che ho avuto un infortunio, ieri sono caduto in mountain bike e mi sono fratturato entrambi i gomiti e il polso sinistro, ho le braccia ingessate dalle ascelle alle dita.
Mi girano, tanto, tantissimo….
Ho passato l’autunno e l’inverno dedicando ogni momento libero a studiare carte fisiche e digitali, a tracciare, controllare, leggere forum, scaricare percorsi, a creare il sito, a contattare rifugi e hotel, ma soprattutto a pedalare sui monti in ogni condizione.
Ogni week-end partivo all’alba per andare in montagna, avevo quasi finito le ricognizioni, mi mancavano solo 150 km da verificare dopo l’inverno, e attendevo che la neve sulle creste si sciogliesse per completare l’opera.
In un istante era tutto cambiato, ero immobile, non potevo fare niente, neppure le azioni quotidiane più elementari, e sarei rimasto così per 35 giorni, poi tolti i gessi chissà quanto avrei impiegato per recuperare.
Ero sopraffatto, scorato. Mancavano poco più di 2 mesi alla partenza dell’avventura, il 9 luglio.
Non ce l’avrei mai fatta.
Pensavo di cancellare l’evento e contattare i partecipanti scusandomi di non poter portare avanti il progetto, ma al momento non potevo fare nemmeno quello.
Decisi di farlo dopo qualche giorno, appena fossi riuscito almeno a usare lo smartphone.
Il 20 Aprile riuscii a alzarmi e fare una breve passeggiata, il giorno seguente più lunga, progressivamente il dolore diminuì, mi aggrappai a quello, avrei potuto completare le ricognizioni a piedi una volta tolti i gessi, anche se non avrei potuto partecipare all’escursione avrei almeno completato la traccia per gli altri.
Il 20 maggio iniziai le ricognizioni a piedi, avevo circa 50 km da verificare tra l’Abetone e il lago santo Modenese, e gli ultimi 100 del percorso, tra Garfagnana e Lunigiana, ma in molti tratti ancora c’era tanta neve, e i sentieri che avevo previsto di percorrere in alcuni tratti erano troppo impervi anche per il portage e camminando non riuscivo a fare più di 12-15 km per volta.
Impiegai 5 giorni solo per risolvere i pochi km di traccia tra Foce al Giovo e il Lago Santo.
Ero di nuovo a terra.
Per il ponte del 2 giugno, mentre l’amico Andrea partiva per il Tuscany Trail al quale c’eravmo iscritti insieme, io rimontavo in bici per la prima volta dall’infortunio, ancora non ero in grado di affrontare una discesa sconnessa, ma decisi di partire per 3 giorni di bikepacking in Garfagnana per proseguire le ricognizioni.
Come sanno quelli che erano al TT, il tempo fu pessimo, ma riuscii ad arrivare a Zum Zeri, punto d’arrivo della GEA.
Ce la potevo fare.
Le settimane successive completai le ricognizioni, feci gli ultimi ritocchi alla traccia, e una settimana prima della partenza la inviai a tutti.
550 km, 90% su sterrato, di cui 65% singletrack molti dei quali sul crinale, circa 10 km di portage, 22.000 metri di dislivello positivo e 21.000 negativo, 37 passi.
Mi sentivo già vincitore, ma allo stesso tempo intimorito, ora dovevo almeno provare a partire con gli altri, l’autore della traccia e delle sventure di quei poveri ragazzi non poteva rimanere sul divano, dovevo almeno fare “la scopa”.
C’eravamo… 8 luglio.
Borse pronte, bici pronta, partenza per Sansepolcro.
Molti degli iscritti alla fine non partono, o non partono adesso, forse ultimamente sono stato poco social, forse si sono intimoriti o non hanno potuto prendere ferie a lavoro.
Va bè, l’unica cosa che conta è partire, e lo facciamo.
Alle 6.00 del 9 Luglio 2016, 5 ragazzi partono per l’edizione zero del Gea Bike Trail, tra l’oro c’è il primo uomo che completerà il percorso, spero tutti, ma almeno uno deve farcela.
Parto piano, conscio dei miei limiti, non è una gara e approfitto per parlare con Ivano e Simone, percorriamo i sentieri della val Tiberina insieme, facciamo foto, sono felice di essere qui. Tiberio e Eugenio hanno un altro passo, da subito li perdo di vista, hanno gamba, esperienza e determinazione, tutto quello che serve.
Siamo sull’asfalto che ci porta a Chiusi della Verna, è sabato ed è pieno di ciclisti in bici da strada, attendo Ivano, ha lo spirito del viaggiatore, molto carico sulla bici e nessuna fretta, è uno che ha lavorato sodo tutta la vita, e che si prende una settimana per sè forse per la prima volta, se la vuole godere.
Lo aspetto, ma quando arriva capisco che il mio attenderlo è un pungolo di cui non ha bisogno, decido di proseguire del mio passo, spero di incontrarlo in seguito.
Proseguo con Simone fino a Chiusi della Verna, il sole ormai è alto e comincia a fare caldo, ne approfitto per un panino e una piccola spesa. Simone opta per una pausa più lunga.
Si entra nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi.
A Rimbocchi approfitto per un bagno nel ruscello, la “cascata col buco” è uno spettacolo della natura, vorrei rimanere tutto il giorno a mollo nell'acqua fresca, ma mi decido a ripartire.
In breve sono a Badia Prataglia, km 100 circa, in tempo per il pranzo a base di piadina e di tortello casentinese.
Da qui in poi il percorso diventa via via più selvaggio, adesso si entra nell'area protetta di Badia Prataglia.
Il sentiero diventa sterrato e sempre più impervio. Approfitto per un altro bagno rinfrescante alla Cascata dei 3 salti.
Cominciano i primi tratti veramente impegnativi, a tratti scendo e spingo, non ho gamba per spingere a fondo per ore, preferisco salvarmi perché comunque andrei pianissimo.
Alle 17 sono al passo della Calla, riempio le borracce e mi sciacquo ad una fontana di acqua gelata. Arrivo sul passo, mi fermo per fare merenda al ristorante i Faggi e becco l'arrivo della tappa del Tour de France con Froome che attacca in discesa pedalando sul tubo orizzontale.
Riparto galvanizzato dalle immagini e dalla seconda piadina, mi aspetta il monte Falco.
Si entra in Emilia per la prima volta, da ora in poi il crinale ci farà saltellare tra Toscana ed Emilia di continuo, toccando le Liguria l’ultimo giorno.
I prati della Burraia e il rifugio Città di Forlì saranno l'ultimo baluardo di civiltà per molti km. Si comincia a pedalare sul crinale, dalla vetta del Monte falco a 1650 m si gode di una vista incredibile, c'è un belvedere a strapiombo per 400 metri almeno con tanto di panchina.
Da qui c'è una discesa spettacolare, tornantini e toboga naturali, un po' sporchi di rami come tutti i sentieri non manutenuti, ma è comunque goduriosa. Poi è la volta di una serie di saliscendi, cerco di affrontarli di slancio ma ho le gambe ormai cotte.
Arrivo a Passo del Muraglione, km 130, dislivello accumulato circa 6500 m, sono le 19.50.
Chiamo il Bar del Muraglione, unico esercizio in zona, chiude tra 10 minuti, ho bisogno di acqua e cibo.
Mi aspettano, compro 2 bottiglioni, della focaccia (qui la chiamiamo schiacciata) e del pecorino.
Mi trovo un prato poco sopra sul sentiero e monto la tenda.
Sono molto stanco e ho bisogno di riposare. Contatto Tiberio e Eugenio, stanno arrivando al passo della Colla, circa 2 ore più avanti rispetto a me, sono dei grandi.
Gli raccomando di fermarsi lì, il sole è tramontato e in questo trail non si viaggia di notte, semplicemente perché sarebbe un suicidio.
Accendo il fuoco e metto a scaldare l'acqua, mentre aspetto mi sciacquo con una delle bottiglie, dopo di che faccio fuori la focaccia e butto la pastina nell'acqua che ormai bolle, aggiungo
olio e il pecorino, ne viene fuori una minestra tipo quella dei bimbi, che trangugio ancora calda.
Il sacco a pelo mi accoglie e mi addormento, ma la stanchezza, i rumori della natura e il fondo non morbidissimo mi svegliano spesso.
Alle 6.00 suona la sveglia, mi alzo, mi ero lasciato un tortellone con patate, lo mangio ma non ho appetito.
Parto e mi rendo conto di avere poca acqua, ma non voglio scendere di nuovo al Muraglione, perderei un ora almeno.
Mi aspetta il crinale per il passo della Colla, sarà impervio, e privo di fonti e ruscelli.
Ieri sera Eugenio mi ha raccontato che la vegetazione sul crinale è molto alta, mi rendo conto di persona cosa vuol dire.
Attraverso 10 km di sentiero esposto di crinale dentro una foresta di felci e ortiche alte 2 metri almeno.
Sembra incredibile, c'ero passato in aprile, pochi giorni prima dell'infortunio, le felci erano alte 20 cm, adesso pare il Vietnam.
Fortuna che mi sono portato i gambaletti e i manicotti, li metto e mi salvo dalle ortiche.
Arrivo alla Colla alle 10 tremendamente assetato, nelle ultime 2 ore non ho bevuto niente.
Il passo è già gremito di motociclisti che mi guardano arrivare dal monte scendendo il sentiero con la bici carica. In genere ai passi si arriva da sotto e poi si scende, al GEA è il contrario, il passo è il punto più basso quasi sempre, ci si arriva in discesa e poi si risale per il crinale.
Bevo tanto, faccio colazione, due dolci e un caffè, prendo un panino da portare via, ribevo e riempio le borracce.
Riparto, il prossimo passo è vicino, il Giogo di Scarperia, ci si arriva attraversando un sentiero ampio in una bella faggeta ombreggiata, siamo sulla Linea Gotica, testimonianze ne sono cimeli di guerra e cartelli con foto che raccontano storie di un mondo passato che non dobbiamo dimenticare.
Prima di pranzo ci sono al passo
Entro per comprare un Coca, ma poi penso che per il prossimo ristorante mi mancano molti km di salite tremende, e in pomeriggio lo troverei chiuso, mi siedo e ordino un piatto di tortelli burro e salvia, un piatto di spinaci e una bistecchina di maiale.
Ho esagerato, lo sapevo, riparto alle 13, gonfio come un pallone, sotto il sole, mi aspetta Colle Bruciata, un passo nel cuore del Mugello, il crinale è fatto a denti di sega, salite oltre il 25%, a tratti infattibili per me adesso, nelle ricognizioni mi parevano molto più facili seppure col fango.
Il fondo è asciutto, ma spingo a piedi, mi sverniciano 2 moto da enduro, per un attimo li invidio, poi mi riprendo, eccheccaxxo non ci dovrebbero stare qui, ma a giudicare dai solchi lasciati nel fango secco, ci sono di casa. Povera Italia..
Mentre mi perdo nei miei pensieri e mi arrabbio virtualmente con motociclisti e cacciatori che devastano i boschi arrivo in cima, sono le 4 passate, ci ho messo una vita, ma la discesa mi rinfranca, mi fermo a fare merenda con dei lamponi che trovo sul sentiero, non ho fame ancora ma ogni occasione per buttare giù calorie va sfruttata, mangio anche il panino preso al mattino, portarmelo dietro fino a cena non avrebbe senso. Scendo veloce verso il Passo della Futa, qui il sentiero è una mulattieria facile, si vola.
Al passo, km 185, bevo un coca e riparto.
Un breve tratto di asfalto poi un singletrack lungo un ruscello nel bosco mi riporta in luoghi ameni, mi attraversa una famiglia di asini allo stato brado, imbocco una ripida mulattiera, mi porterà a Montepiano tra abeti e castagni,
Ancora fauna, questa volta due caprioli, due cuccioli, strano vederli soli, forse son già cotto e non ho visto la madre.
Arrivo a Montepiano alle 18, proseguo per Cavarzano, mi aspettano 400 metri di dislivello su una sterrata regolare al 10%, le gambe cominciano a non spingere, inizio a frullare, menomale che ho messo il 28 davanti, e col 42 dietro dello
sram xx1 mi salvo.
All'alpe di Cavarzano faccio bella doccia a una fonte ghiacciata e rifornimento d'acqua, ormai ho capito che questi bagni mi rinfrancano e ne approfitto ogni volta.
Scendo a Vernio sulla mulattiera che si sale alla Gf da Piazza a Piazza, o almeno si saliva nella vecchia versione del percorso, quanti ricordi.
Qui si può scendere a cannone senza pericolo, trovo alcune auto ma le passo senza rallentare.
Vernio è sotto di me, in breve la raggiungo.
Sono le 19.30, la fame mi bussa. Mi fermo qui, km 217, dislivello 11500.
Prima mi ricompongo per la cena, tuffo in torrente e metto la muta da ciclismo pulita, lavo quella appena usata e la appendo alla borsa anteriore, col vento si asciugherà velocemente.
Arrivo al lago Verde, hanno una pizzeria, con gazebi all'aperto, perfetto per me.
Il cameriere sta facendo accomodare una famiglia di 5 persone, l'unico tavolo occupato.
Chiedo di poter cenare, mi chiede se ho prenotato, sorrido e gli dico di no.
Lui mi dice serio che se non ho prenotato non ha posto, mi si spenge il sorriso, gli dico mi vedi? Sono solo sono in viaggio in bici, hai almeno 10 tavoli liberi e altrettanti tavoli di plastica accatastati infondo, sono un problema?
Per nulla scomposto, mi risponde che gli si riempie il locale adesso, comincio a spazientirmi, gli faccio notare che è un lago di pesca, non un locale, e posso anche sedermi su una panca sul lago, non mi serve il tavolo per mangiare una pizza.
Eroico mi dice che non è per il tavolo, è per la cucina...
Guardo per un attimo la famigliola seduta, loro ricambiano lo sguardo incredulo, capisco che non sto sognando e che sto perdendo tempo, mando molto eloquentemente il cameriere ad alleggerirsi, e questi inspiegabilmente ne rimane sorpreso.
Rimonto in sella, sono incazzato, pedalo forte in salita, arrivo al paese successivo, ma il bar è chiuso, mi rimangono 2 opzioni, la sagra a Migliana, code e confusione, o tornare a Vernio.
Torno a Vernio, comporta meno discesa e quindi meno salita da rifare.
Ceno al Circolo, fanno dei tortelli buonissimi, non resisto ai funghi, poi una pizza e 2 birre in relax.
Mentre finisco la birra guardo la nazionale in tv, ma son stanco, abbandono la tele per andare a dormire.
Rimonto in sella, sono le 10, è buio, percorro 4 km lungo il torrente Carigiola fino ad un piccolo parco con panche e tavolini da pic-nic, c'è un'altra tenda, monto e mi metto a letto. Sono le 11.
Crollo istantaneamente. Alle 1 mi sveglio, non sto bene, ecco lo sapevo, i funghi...
Esco, passeggio nel buio nervoso, poi mi piego, crampi all’addome e sudori freddi, il resto lo immaginate, mi “alleggerisco” da ogni parte, forse gli accidenti al cameriere son tornati indietro.
Alle 2 rientro in tenda, sono infreddolito, mi rinfilo nel sacco e mi addormento.
Alle 6 non riesco ad alzarmi, spengo la sveglia, vorrei solo riposare ancora mezz'ora, mi risveglio alle 8.
Sono uno straccio.
Mi vesto, smonto, faccio colazione con biscotti e acqua e riparto, sono le 9, mi vergogno quasi, si pùò fare un trail stando fermi 13 ore?
Comincio a salire verso il Parco Naturale Regionale dell'Acquerino, la sterrata è ampia e la salita pedalabile, lo sarebbe almeno, ma oggi è giornata no, e vado pianissimo, a momenti scendo su pendenze del 10%.
Arrivo alla Cascina di Spedaletto, poi al pratone dell’Acquerino e da qui salgo nel bosco, la pendenza sale fino oltre il 20%, su una sterrata di pietre messe di taglio per i carri, non vado manco a bucarmi, scendo e cammino.
Non ho allenamento, non ho fondo, non ho niente, mi sento vuoto, ma non mollo, maremma cane non mollo.
Arrivo all'ennesimo torrente, anche questo è mio, bagno completo nella pozza, bevo addirittura immerso nell'acqua fredda.
Devo essere anestetizzato dalla fatica e dalla stanchezza perche altrimenti non farei mai una cosa del genere, temo il freddo.
Riparto rinfrancato, arrivo al passo della Vecchia Collina, gli altri hanno dormito a Pracchia, poco più avanti, e stanno salendo verso lo Scaffaiolo, il mio distacco cresce, dubito che pedaleremo insieme, ma non mi sento solo.
Bevo e mangio molto al Bar del Passo, da qui partono dei bei sentieri enduro che scendono a Pistoia, ma oggi devo salire, salire e basta.
Arrivo a Pracchia e senza altre soste imbocco la forestale che mi porterà alla foresta del Teso.
Siamo nel Parco Nazionale dell’Appennino Toscoemiliano, riserva uomo e biosfera, riconosciuto dall’UNESCO.
Faggi e abeti si alternano, i tafani che da 3 giorni mi fanno compagnia col loro ronzare poco piacevole tra poco non ci saranno più, arrivo a 1500, alla Casetta Pulledrari e poi dopo una ripidissima salita al rifugio del montanaro.
Il rifugio è chiuso, faccio 2 foto e riparto, ho viveri e l'acqua non è più un problema da ieri, le fonti si sprecano.
Tra poco sarò oltre la linea degli alberi, e mi aspetta il tremendo strofinatoio.
Calma però, un cosa per volta, arrivo al monte Gennaio, sono fuori della foresta, da ora in poi l’unica vegetazione sono piccoli cespugli e mirtilli, vedo la valle intera, il sentiero è largo 15 cm, a destra il monte, a sinistra il vuoto per centinaia di metri.
Sono venuto qui per questo, per percorrere questi crinali, capisco il pericolo, sto concentrato, faccio attenzione a non sbattere il pedale sui sassi o incastrarlo nei cespugli, scendo quando trovo pietre che non sono sicuro di copiare in sicurezza.
Sorpasso il poggio della Nevaia, il poggio delle Ignude, il passo pedata del Diavolo, certo che nomi strani, davanti a me ho lo Strofinatoio, saranno 300 m di distanza e forse 150 di dislivello, tutti a gradoni malmessi.
Metto la bici in spalla e comincio a salire i gradoni, è faticoso, per quanto abbia cercato di risparmiare peso al massimo supero i 15 kg tra bici e attrezzatura.
Devo fare 2 pause prima di arrivare in cima, a 1850.
Qui una bella discesa flow, per quanto può essere flow un crinale selvaggio, prima del lago Scaffaiolo ci sono ancora alcuni strappi, li percorro con l'entusiasmo di aver fatto 60 km e almeno 3000 metri di dislivello nonostante la nottata pessima.
Al rifugio Duca degli Abruzzi mi accolgono festosi, mi raccontano subito che all’ora di pranzo è passato Eugenio.
Tiberio purtroppo ha dovuto mollare in mattinata, aveva a disposizione 4 giorni liberi, ma è quasi impossibile completare questo trail in 4 giorni, così stamani ha rinunciato.
Peccato, ma ci rincontreremo, viviamo a pochi km di distanza e giriamo ogni we sulle stesse colline.
Faccio due chiacchiere coi ragazzi del rifugio, nei mesi scorsi mi hanno ospitato varie volte nelle mie ricognizioni, e sanno dell’avventura che stiamo facendo.
Il tempo passa veloce, sono stanco, e tra una bibita e una fetta di crostata arrivano le 19, a quel punto non ho la forza mentale per ripartire e decido di godermi il tramonto in uno degli spot più belli dell’Appennino e fare un bel pieno di energie con le tagliatelle al ragù e la polenta col formaggio.
Sono al km 280 circa, per 14000 d+
Alle 8.30 monto la tenda accanto al lago, sotto la cresta che mi ripara dal vento, il completo che avevo lavato prima di cena è già asciutto, mi godo il tramonto e la frescura degli ultimi istanti di questo terzo giorno di avventura.
Dopo qualche foto saluto e mi infilo nel sacco a pelo, sono le 9.30, sveglia alle 5.30.
Mi sveglio riposato e di nuovo pieno di energie, anche se con le gambe sfatte.
Smonto e parto, subito bella discesa sul crinale, solo qualche strappo seppur tosto per arrivare alla Croce Arcana, poi la Doganaccia e il sentiero per Cutigliano fra gli abeti.
Arrivo a Rivoreta e l’alimentari è ancora chiuso, mangio qualche biscotto e proseguo per le Regine.
Qui trovo finalmente tutto aperto, ottima colazione e provviste per il giorno.
Sono le 8.30 quando attacco la salita per Pian degli Ontani, il clima è piacevolmente fresco.
Dopo un primo tratto pedalabile su asfalto raggiungo l’orto botanico protetto, e da qui, oltre la
catena, si procede su una sterrata che diventa sempre più ripida, fino a diventare estrema, senza borse l’avevo pedalata tutta, ma adesso sono impiccato.
Arrivo ad un bivacco, mi fermo e bevo alla fontana.
Decido di scendere e spingere a piedi, non ha senso sfinirmi per andare a passo d’uomo. Gli ultimi 300 metri prima della vetta sono tremendi, un sentiero irto fra le radici degli abeti, poi a un tratto si apre uno squarcio tra gli alberi, l’Alpe Tre Potenze è li davanti a me, sono a 1700m, rimonto in sella e percorro la breve discesa che mi porta al lago Nero, che è verde e azzurro, contrariamente al nome uno splendore.
Faccio un po’ di foto mentre riprendo fiato e poi di nuovo bici in spalla per arrivare sotto al Dente della Vecchia, ci sono tratti quasi alpinistici e lo spazio per camminare è esiguo, ma il paesaggio ripaga ogni sforzo.
Mi sento in paradiso, in perfetta armonia con un ambiente incontaminato.
Alle 11 sono al lago Turchino, da qui il sentiero scende finalmente, anche se c’è da fare molta attenzione, ci sono dei gradoni e alcuni sono infattibili in bici per me. Li supero a piedi. A tratti la discesa ti invoglia a lasciar andare, ma sul crinale preferisco non rischiare nulla.
Da qua si vedono gli ultimi 70-80 km percorsi e i prossimi 50 almeno, uno spettacolo!
Alle 12 sono a foce al Giovo, adesso dovrò scendere molto, fino a Faidello su una strada militare larga e velocissima, le pietre fisse del fondo mi distruggono le braccia, le vibrazioni sono troppe. Devo fermarmi e sciogliere le braccia.
Mi riprendo, ma le fratture sono ancora troppo fresche, preferisco rallentare un po’.
Faccio ancora un paio di soste per dare tregua al polso dolorante.
Alle 12.45 sono a Faidello, appena in tempo per comprare albicocche e un panino al crudo alla bottega, riempio le borracce alla fontatna di fronte e riparto per una breve discesa, poi in paese si prende a sinistra per salire su asfalto verso Rotari e poi il lago Santo.
Oggi mi sento bene e voglio cercare di recuperare il tempo perso ieri. In circa un ora arrivo al parcheggio del lago, da dove inizia un sentiero piuttosto ripido che decido di non pedalare ancora una volta per salvarmi.
Arrivo al Lago, è uno splendore, incredibile l'intensità del verde dei prati e cespugli di mirtilli e l'azzurro del cielo che si specchia nell'acqua. Inutile cercare di spiegare la bellezza, bisogna vederla.
Al lago mi rilasso, piedi a mollo nell'acqua fredda, mangio il panino, poi una fantastica crostata ai mirtilli al rifugio Vittoria.
Riparto, costeggio il lago e poi inizia una salita scassata tra radici con rocce e gradoni.
Bici in spalla e via, sto bene e il panorama mi rinfranca, so' che tra poco i tratti di portage saranno finiti, questo mi da la consapevolezza di poter portare infondo questa avventura.
La vallata successiva è assolutamente incredibile, non c'è niente apparte la natura, nessuna costruzione nessun rifugio nessuna abitazione né bivacco. LAppennino crea una specie di gola, le faglie si sovrappongono e il bordo della faglia superiore si erge sopra la mia testa, pare il Grand Canion, ma verde.
Le ultime centinaia di metri prima della vetta alterno bici e cammino, con l'ultimo tratto molto esposto.
Sono di nuovo sul confine tra Emilia e Toscana, adesso per un tratto percorrerò esattamente il divide appenninico.
Fortuna che il meteo è splendido, non c'è neppure vento, che qui è una costante e può rendere difficile procedere anche nelle giornate di sole.
Sono sullo spartiacque, da qui in poi sarà tutta pedalabile, prima una bella discesa fino al rifugio Giovanni Santi, poi si risale fino al passo Radici.
Alle 19 arrivo al Passo, mangio qualche biscotto e decido di ripartire, chiamo il rifugio Battisti a Lama Lite, avverto che sarà lì per cena alle 20.30.
Riparto, dal passo radici all'Abetina Reale, c'è uno splendido sentiero negli abeti, sù e giù ma sempre pedalabile, il fondo è compatto e le pietre smosse sono poche.
Dall'Abetina in poi le salite diventano un po' più impegnative, non per la pendenza che non supera il 15% , ma per il fondo di pietre mobili.
Sono nel Parco del Gigante, il gigante è il monte Cusna, vetta oltre i 2150 m, che non sono tanti paragonati alle cime alpine, ma per come ci si arriva pare molto di più.
Mi sa che sarò un po' in ritardo per cena, comincio a sentire la stanchezza, sono a 14 ore in sella e non sono più lucidissimo.
Ma ormai arrivo. Svolto a sinistra ed esco dall'abetaia, il monte Cusna mi saluta, è di fronte a me, questo vuol dire che mi manca poco, pochissmo.
Ancora un paio di tornanti, l'ultimo drizzone, Lama Lite, un crocevia tra Garfagnana e Appennino Reggiano. Prima di prendere a destra per il rifugio mi godo il tramonto, il sole si tuffa dietro ai monti dell'appennino parmense, domani sarò lì.
Vorrei rimanere ancora a godermi lo spettacolo, ma mi aspettano e si sta alzando il vento, sento il sudore che mi si ghiaccia addosso.
Voglio una doccia calda, la prima dalla partenza.
Il rifugio è posto su un belvedere meraviglioso, lascio fuori la bici a godersi le ultime luci rosse che salgono dall'orizzonte, tolgo le borse e entro.
L'interno è spartano, non è un posto turistico, ma ci sono altri commensali a cena.
Chiedo subito della doccia.
E' un toccasana.
Mi rivesto e ceno, 2 piatti di pasta e arista con verdure, birra ovviamente. Sono contento della giornata, ho fatto 100 km e 6000 m circa di dislivello, sono al km 370 circa.
Domani non finirò ma se tutto va bene dopodomani arriverò a Zum Zeri.
Già Zum Zeri!, devo avvisare di mettere fuori lo striscione, Eugenio domani dovrebbe finire, quel ragazzo è una macchina da guerra.
Fuori è buio e si vedono gli alberi che ondeggiano per il vento che è cresciuto.
Decido di dormire dentro.
La stanza è piccola, sono solo, apro la finestra e mi infilo nel sacco, mi schianto all'istante.
Sveglia alle 5.30.
Sono riposato dalla notte in rifugio, ho ceduto al comfort dell'indoor ma sono contento di averlo fatto, fuori avrei dormito poco, il vento, i rumori della tenda sbattuta e il frusciare rami mi avrebbero disturbato.
Mi vesto e scendo, aggiungo la maglia a maniche lunghe e l'impermeabile, sta albeggiando, è freddo e devo scendere.
Parto.
E' una bella discesa veloce su fondo di ghiaia e a tratti terra.
Vedo i cartelli della Garfagnana Epic che condivide questa parte del percorso, è un susseguirsi di torrenti e cascatelle che costeggiano e a volte attraversano il percorso.
A Presa Alta il torrente è magnifico, il lago della diga Enel verdissimo, se avessi avuto gamba avrei voluto portarmi dietro una canna da mosca tascabile per tentare le trote dell'alto Appennino, ma un kg in più non potrei gestirlo, ci tornerò apposta.
In un ora sono a Ligonchio.
Cercasi bar, trovato, lo svaligio.
3 dolci, un cappuccino, un salato.
Sono le 7.30 quando riparto per la lunga salita che mi riporterà sul crinale, siamo nelle terre di Matilde di Canossa, a Settembre qui faranno il RE-Trail, passeranno di qui.
La salita è asfaltata ma non facile per me, oggi ho la gamba un po' vuota, su sterrato mi salvo salendo un po' sui pedali e un po’ sedendomi, sfruttando il mestiere per superare ostacoli, ma su asfalto non puoi nasconderti, devi solo spingere sui pedali, e se ne hai poca non ci sono trucchi, vai piano.
E vado piano, dopo un ora approfitto delle fragoline di bosco che crescono sul ciglio, non ho fame ma è una scusa per una pausa.
Oggi il meteo è un po' meno splendido, tira vento forte, ovviamente contrario.
Arrivo a Pradarena, si rientra di nuovo in Toscana, ma per poco, perché il sentiero di crinale mi porterà a Cerreto Laghi, ancora Reggio Emilia e tramite il passo del Cerreto tornerò ancora in Toscana.
Si alternano asfalto e sterrato veloce fino al passo, arrivo in cima all'ora di pranzo, mi fermo al ristorante per una tagliatella al ragù e due chiacchiere col gestore e suo figlio, li ho conosciuti durante le ricognizioni, avevo spiegato l'idea del GEA Trail e loro mi avevano aiutato con dei buoni consigli sui sentieri da provare.
Mi dicono che Eugenio ha cenato qui ieri sera.
Saluto mentre bevo il caffè e riparto con la promessa di ritornare presto.
Si scende a Sassalbo, un minuscolo paesino sotto una parete bianca di gesso. Da qui riparte il sentiero nel bosco, una bella discesa fino a Comano, in Lunigiana.
Qui sono in basso, molto, e temo la salita che mi aspetta per arrivare al passo del Lagastrello.
Infatti non passa più, è una salita regolare su strada, segnata km dopo km dai cartelli di una granfondo.
12, 11...8...4... i km scorrono lentissimi. Faccio una pausa, uno spuntino, 3..2.. mi pare infinita, ma c'è un bivio, i cartelli della gf dirigono a sinistra, io devo andare a destra, quindi non mi mancano ancora 2 km, come per incanto sono al passo, che bellezza una sorpresa così.
C'è un bar, prendo un caffè come scusa per fermarmi al chiuso, tira molto vento e ho freddo.
Mangio un cornetto e uno lo porto con me.
Riparto in direzione Valditacca. Il vento mi sposta in discesa. Mi preoccupo per Eugenio, io sono in valle ma se lui ha 6 ore di vantaggio su di me è sul crinale in provincia di Parma, e sarà sferzato dal vento.
Lo chiamo, ma non ci sentiamo bene. Mi conferma che c'è vento forte.
Gli raccomando di non rischiare, lo ragguaglio sulla distanza dal prossimo rifugio, ma lo sento tranquillo e sicuro, ha 22 anni ma non è un ragazzo, è un uomo.
Dalla Valditacca si godono dei panorami unici, le cascate che scendono dalle vette sono spettacolari.
Arrivo ai Lagoni, vorrei salutare al rifugio ma devo tirare dritto, vorrei arrivare al passo del Cirone stasera, in modo da vere 60 km da fare domani.
Alle 18.30 sono al rifugio Lagdei, nel Parco dei 100 laghi.
Penso qualche istante, vorrei proseguire perché ho ancora 3 ore di luce, ma il meteo sta peggiorando, il vento è molto forte e minaccia burrasca.
Decido di fermarmi, sul crinale spoglio potrebbe essere difficile bivaccare col vento forte.
In compenso qui ho paura dei rami che possano cadere sulla tenda durante la notte.
Decido per la comodità del rifugio anche stasera.
Intanto mi arriva la foto di Eugenio che è arrivato a Zum Zeri, sono le 19 circa. Fantastico!!
Lo chiamo subito ma la linea è pessima, gli raccomando di aspettarmi il mattino seguente.
Sono l'unico a dormire qui, la camerata è tutta per me.
Faccio la doccia e il bucato, domani tuta pulita per l’arrivo...
Stendo gli indumenti sulla bici fuori del rifugio e ceno.
Tutto buono, buonissimo, zuppa di verdure e polenta, formaggi e affettati, e per finire la torta spongata, una bomba calorica che è un incrocio tra un panforte e una crostata di frutta secca.
Alle 9 sono a letto.
Mi sveglio alle 1 per il vento e la grandine che batte sul tetto.
Menomale sono sono in tenda sul crinale.
Penso ai vestiti stesi, mi affaccio alla finestra, wow, li hanno tolti e riposti al coperto, che cari!
Torno a letto tranquillo.
Sveglia alle 5.30, per l'ultima volta.
Colazione e partenza, sono le 6.
Oggi subito salita tosta, con tratti che non riesco a pedalare, fa freddo e la grandine forma delle pozze di acqua gelata.
La terra si è ammorbidita e a tratti si affonda.
Arrivo alla vetta, il passo del Cirone è davanti a me.
Discesa enduristica e ci sono, calma, scendo, cadere ora e farmi male sarebbe una stupidaggine, supero a piedi i tratti impegnativi.
Arrivo al passo, è uno spettacolo puro, il vento ha spazzato via ogni traccia di umidità, tira forte e fa fresco, ma chissenefrega, è troppo bello, si vede dal mare alle Alpi.
Mi decido a scendere dall'ultimo crinale di questo trail.
Mi aspetta la discesa verso la Cisa e poi la Via Franceigena, si passa sotto alla porta toscana della celebre via romea.
Da qui un singletrack bello e impegnativo col fondo umido, ormai sono tutt'uno con la bici, mi pare di scendere in una bolla.
La discesa diventa asfaltata e si arriva a Grondola.
Da qui si riparte su sentiero, lungo e costante 10 % circa fino al villaggio Aracci, pochi km prima dell'arrivo.
Qui mi aspetta l'ultimo tratto brutto, 500 m di gradoni con bici in spalla, Eugeio mi sta aspettando all'arrivo, so che qui ieri sera mi ha maledetto per l'ultima volta.
Finito anche questo, gli ultimi 3 km dei 550 totali sono su asfalto, salita pedalabile, qualche tonante, vedo il tetto del rifugio che lentamente aggalla dalla vegetazione, le lacrime sono scontate ma inevitabili, ce l'ho fatta!
Nel parcheggio del passo Eugenio mi accoglie, sono talmente emozionato che dimentico di fotografarmi alla pietra che segna la fine della GEA.
Ma che soddisfazione!
Pranziamo felici, poi torneremo a casa. Non abbiamo pedalato insieme, ma mi pare di conoscerlo come fossimo stati sempre accanto.
Congratulazioni Eugenio.
Dopo di noi ci saranno altri, ma tu sei stato il primo!
La via è aperta…
A breve arriverà il video di questi 5 giorni di avventura sui crinali appenninici.