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Il Gazzettino Online il quotidiano del nord-est
giovedì, 9 Dicembre 2004
UNA STORIA Brutta avventura di un industriale che da 15 anni commercia col Paese del Dragone importando componenti per bici. Un giro d’affari di 9 milioni di dollari
«Se non paga la fornitura non torna più a casa»
«I pezzi erano di scarsa qualità, ho bloccato il rimborso. Sono andato ad un appuntamento per mediare ma mi hanno minacciato»
Padova
NOSTRA REDAZIONE
La Cina è vicina, imprenditori fate il vostro gioco. Ma ricordate che il dragone non è addomesticato e potrebbe farvi male. Può accadere infatti di contestare una fornitura di pezzi arrivati in Italia perché non sono conformi al progetto o difettati. Può capitare per questo di fermare l'ultima tranche del pagamento e andare di persona a Shanghai per trattare la questione con l'intermediario cinese che tiene i rapporti con le fabbriche. E una volta entrato in albergo fare la conoscenza di un ufficiale giudiziario che accompagna l'intermediario. Il dialogo è breve: «Lei non ha pagato l'ultima fornitura, quindi se non paga non torna più a casa». E avere due alternative. O rimanere per affrontare tutti i gradi di giudizio (ovvero tre) delle corti cinesi quindi dei mesi, oppure chiamare l'Italia e farsi fare su due piedi un bonifico di 190mila euro. Ovviamente con i buoni auspici del consolato italiano che ne frattempo fa i salti mortali per far andare tutte le cose a posto.
È accaduto la settimana scorsa ad un imprenditore padovano che citeremo come Mario Rossi dal momento che la vicenda potrebbe mettere in cattiva luce la sua azienda.
«Lavoro con la Cina da 15 anni - comincia - e ogni anno importo componentistica, soprattutto per pezzi di biciclette che poi si montano in Italia per un valore di 9 milioni di dollari. Racconto questa storia per far capire come non sia del tutto semplice, come sostiene il presidente Ciampi, lavorare con i cinesi. Lo dimostra come si è comportato questo intermediario, un "trading" come si dice in gergo, con cui ho collezionato 2 milioni di dollari di forniture negli ultimi 16 mesi e che da almeno 8 mesi mi dava grossi problemi di qualità. Ad un certo punto gli ho bloccato l'ultimo pagamento e ci siamo dati appuntamento per sistemare la questione».
E cos'è successo?
«Lui aveva già denunciato all'autorità il fatto che io non l'avessi pagato e quando sono arrivato all'albergo di Shanghai si è presentato con un ufficiale giudiziario che mi ha notificato un procedimento legale per non avere rispettato il pagamento a fine ottobre. Lei può fare appello o pagare, mi ha detto. Però finchè non paga non può uscire dalla Cina».
Quanto può durare l'appello?
«Anche dei mesi. E poi ti devi trovare un avvocato lì. Fra l'altro mi hanno contestato un pagamento anche più alto del 20 per cento del reale perchè c'era una nota d'accredito che doveva essere scalata ma non l'hanno fatto».
E come ha proceduto?
«Ho fatto fare il bonifico. Ma lì la cosa si è complicata ancora di più. Perché la causa era ancora aperta. Quindi il cliente dell'intermediario doveva dare la prova che erano arrivati i soldi e trasmetterla alla prima corte che doveva dare la sua approvazione. Poi si doveva passare alla seconda e alla terza. Il tutto doveva finire all'ufficio di polizia doganale che doveva trasmetterla all'ufficio centrale della dogana di Pechino da cui sarebbe partito l'ordine di cancellare dal computer l'impedimento a farmi uscire».
Come se l'è cavata?
«Grazie all'aiuto straordinario di Alessandro Arduino del consolato italiano che si è subito messo in moto e nel giro di qualche giorno è riuscito a sbloccare tutto, oltretutto facendo grosse pressioni sull'intermediario. Ma se non ci fosse stato lui sarei ancora lì».
Che opinione si è fatto di tutto questo?
«Sinceramente ho pensato ad un tranello appoggiato dallo stato. Perchè sono quindici anni che compro componentistica varia per il mercato europeo ma non mi era mai capitata una cosa del genere. Io credo che la mentalità dei cinesi sia cambiata. Un tempo ci accoglievano a braccia aperte, oggi hanno acquisito una furbizia e una coscienza della propria potenza che bisogna andarci cauti. Io sono stato quasi sequestrato per una cosa di cui avevo pienamente ragione, al punto che lo stesso intermediario poi ha tentato di giustificarsi in tutti i modi. Non so se anche loro siano stati scottati da un certo tipo di capitalismo ma è certo che in Cina non lavorano più solo le grandi aziende ma anche moltissimi microimprenditori e sono questi ad essere i più esposti anche da una certa forma di arroganza».
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«Se non paga la fornitura non torna più a casa»
«I pezzi erano di scarsa qualità, ho bloccato il rimborso. Sono andato ad un appuntamento per mediare ma mi hanno minacciato»
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La Cina è vicina, imprenditori fate il vostro gioco. Ma ricordate che il dragone non è addomesticato e potrebbe farvi male. Può accadere infatti di contestare una fornitura di pezzi arrivati in Italia perché non sono conformi al progetto o difettati. Può capitare per questo di fermare l'ultima tranche del pagamento e andare di persona a Shanghai per trattare la questione con l'intermediario cinese che tiene i rapporti con le fabbriche. E una volta entrato in albergo fare la conoscenza di un ufficiale giudiziario che accompagna l'intermediario. Il dialogo è breve: «Lei non ha pagato l'ultima fornitura, quindi se non paga non torna più a casa». E avere due alternative. O rimanere per affrontare tutti i gradi di giudizio (ovvero tre) delle corti cinesi quindi dei mesi, oppure chiamare l'Italia e farsi fare su due piedi un bonifico di 190mila euro. Ovviamente con i buoni auspici del consolato italiano che ne frattempo fa i salti mortali per far andare tutte le cose a posto.
È accaduto la settimana scorsa ad un imprenditore padovano che citeremo come Mario Rossi dal momento che la vicenda potrebbe mettere in cattiva luce la sua azienda.
«Lavoro con la Cina da 15 anni - comincia - e ogni anno importo componentistica, soprattutto per pezzi di biciclette che poi si montano in Italia per un valore di 9 milioni di dollari. Racconto questa storia per far capire come non sia del tutto semplice, come sostiene il presidente Ciampi, lavorare con i cinesi. Lo dimostra come si è comportato questo intermediario, un "trading" come si dice in gergo, con cui ho collezionato 2 milioni di dollari di forniture negli ultimi 16 mesi e che da almeno 8 mesi mi dava grossi problemi di qualità. Ad un certo punto gli ho bloccato l'ultimo pagamento e ci siamo dati appuntamento per sistemare la questione».
E cos'è successo?
«Lui aveva già denunciato all'autorità il fatto che io non l'avessi pagato e quando sono arrivato all'albergo di Shanghai si è presentato con un ufficiale giudiziario che mi ha notificato un procedimento legale per non avere rispettato il pagamento a fine ottobre. Lei può fare appello o pagare, mi ha detto. Però finchè non paga non può uscire dalla Cina».
Quanto può durare l'appello?
«Anche dei mesi. E poi ti devi trovare un avvocato lì. Fra l'altro mi hanno contestato un pagamento anche più alto del 20 per cento del reale perchè c'era una nota d'accredito che doveva essere scalata ma non l'hanno fatto».
E come ha proceduto?
«Ho fatto fare il bonifico. Ma lì la cosa si è complicata ancora di più. Perché la causa era ancora aperta. Quindi il cliente dell'intermediario doveva dare la prova che erano arrivati i soldi e trasmetterla alla prima corte che doveva dare la sua approvazione. Poi si doveva passare alla seconda e alla terza. Il tutto doveva finire all'ufficio di polizia doganale che doveva trasmetterla all'ufficio centrale della dogana di Pechino da cui sarebbe partito l'ordine di cancellare dal computer l'impedimento a farmi uscire».
Come se l'è cavata?
«Grazie all'aiuto straordinario di Alessandro Arduino del consolato italiano che si è subito messo in moto e nel giro di qualche giorno è riuscito a sbloccare tutto, oltretutto facendo grosse pressioni sull'intermediario. Ma se non ci fosse stato lui sarei ancora lì».
Che opinione si è fatto di tutto questo?
«Sinceramente ho pensato ad un tranello appoggiato dallo stato. Perchè sono quindici anni che compro componentistica varia per il mercato europeo ma non mi era mai capitata una cosa del genere. Io credo che la mentalità dei cinesi sia cambiata. Un tempo ci accoglievano a braccia aperte, oggi hanno acquisito una furbizia e una coscienza della propria potenza che bisogna andarci cauti. Io sono stato quasi sequestrato per una cosa di cui avevo pienamente ragione, al punto che lo stesso intermediario poi ha tentato di giustificarsi in tutti i modi. Non so se anche loro siano stati scottati da un certo tipo di capitalismo ma è certo che in Cina non lavorano più solo le grandi aziende ma anche moltissimi microimprenditori e sono questi ad essere i più esposti anche da una certa forma di arroganza».
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