Ovvero l’orgoglio del lichene
Per la valle sono passati i guerrieri Celti, i Romani, Annibale, i Franchi di Carlo Magno, i Saraceni ed i pellegrini diretti a Roma, i “bögianen” Piemontesi che resistettero all’Assietta, Napoleone, i fascisti ed i partigiani, il giro d’Italia e la fiaccola olimpica, i treni che hanno portato la gente a sciare o a lavorare ed i cortei contro il treno.
La bassa valle ha due facce, “l’indrit” (indiritto = versante solatìo) e “l’invers” (inverso= versante bacìo) e questo dualismo non si limita a una connotazione geografica, trascende verso implicazioni più elevate quali il misticismo e la coltivazione della vite e finisce per rendere diversi anche gli abitanti.
L’indrit è il versante più materiale e pagano: C’è il Rocciamelone che fu sacro ai Celti prima che consacrato alla Madonna, ci sono i terrazzamenti dove maturano le uve di “avanà”, c’è il Maömet, le fabbriche o le ex fabbriche rosse, la borgata dove quei due qualche anno fa nascosero la bara con Enrico Cuccia dentro, e, in fondo, là dove la valle diventa pianura anche il Musinè: la montagna magica degli alieni.
L’invers è il versante pio per eccellenza…la via Francigena,le chiesette della Madonna della Losa e di S.Saturnino, le certose di Montebenedetto e Banda e, a contrastare il paganesimo new age del Musinè, la mole severa ed ardita della Sacra di S.Michele…con la leggenda della bell’Alda che pur di non esser corrotta nella sua virtù dai mercenari (o saraceni a seconda delle declinazioni) si lanciò dalla rupe ma venne sorretta (e salvata) nella caduta dagli angeli del Signore , sennonché quando volle ripetere il gesto per vanità il Signore si occupò d’altro lasciando che si sfrantecasse sulle rocce sottostanti…
I Franchi di Carlo Magno, che erano dei baciapile, camminarono manco a dirlo sul versante dell’Invers, i partigiani della Garibaldi che erano dei miscredenti bolscevichi su quello opposto.
Lui non era certo là così tanto tempo fa da vedere Annibale, ma mentre in quella mattina fredda di sole dello scorso Inverno mi raccontava la sua vita nello spazio di una sosta nella mia discesa, la terrazza della borgata Leitera superiore di Bruzolo mi parve la galleria di un cinema da cui guardare il mondo scorrere sul fondovalle al confine tra la luce e l’ombra delle montagne disegnata sulla piana. Il mio andare in bicicletta era un miscuglio di sentimenti e di dolore, il ginocchio si piegava a malapena e l’ortopedico mi aveva detto: “faccia un po’ di bicicletta” certo non immaginando che la mia interpretazione del “po’ di bicicletta” prevedesse questa discesa lastricata e infinita che dall’antica Borgata di Maffiotto di Condove porta giù a S.Didero per un migliaio di metri ricchi di ripidi, gradoni, tornantini e, soprattutto, di una spettacolare vista su due montagne sacre a me: il Villano e l’Orsiera.
L’uomo della borgata Leitera, dove si arriva dopo una sezione abbastanza tecnica, abita su quella terrazza naturale da quando è nato. Ora è in pensione. Sta nel suo mondo con due cani dagli occhi gentili che ti abbaiano più per dovere che per convinzione, una damigiana vuota a scolare sopra la fonte, un fuoristrada con qualche anno alle spalle sulla strada (relativamente recente) che arriva fino qui.., ignoro se anche con una donna di Leitera.
La discesa si fa per la vecchia mulattiera. Di qui a giù sono 400 metri di dislivello lastricati e resi scivolosi dai mille e mille passaggi in sù e in giù degli antichi abitanti di questi monti, lui li ha fatti tutti i giorni, a piedi, in discesa prima e in salita poi per andare a lavorare all’acciaieria giù a Bruzolo, con la pioggia e con il sole che asfalta, con il vento furioso che soffia da Ovest quando in Francia fa brutto e con la neve degli almeno trentacinque inverni che gli ci sono voluti a maturare la pensione.
Mi parla in Piemontese, gli rispondo in Piemontese…lingua perduta di gente che ha voluto perderla, la sua parlata è già influenzata dal patöis di matrice franco-provenzale ma riusciamo ancora ad intenderci e capirci, più su per la valle mi si sarebbe rivolto in Occitano, l’antica lingua d’Oc dei trovatori e della repubblica degli Escartons, ma in quell’idioma così affascinante e misterioso non avrei potuto rispondergli.
Gli fa piacere parlare, non dev’essere molta la gente che passa di lì, specie nell’Inverno.
Il sole è alto e caldo, l’aria fredda,secca, limpida e semplice come questi sassi, come la fontana con sopra la damigiana vuota, come il sudore che s’asciuga piano sotto al giubbotto.
Mi dice che adesso ogni tanto qualcuno passa con la bici come me, ma che quasi nessuno si ferma, pochi rallentano..forse nessuno deve mediare la sua velocità di discesa con un ginocchio a pezzi penso…o forse non saprebbero nemmeno che cosa dirgli pensandolo zotico e lontano da una possibile discussione su pezzi al CNC, taratura delle sospensioni, hydroforming e mescole performanti…forse financo del tutto ignorante circa la precisa liturgia che li ricomprende in una categoria di biker (freeriders? All mountaineers ? trailriders?) e della quale vanno, pur negandolo, così orgogliosi.
Tutto sommato però all’uomo di Leitera non importa granchè, lui è fiero di essere lì e di esserci sempre stato…si sente dalla fermezza nella sua voce…guardo la valle che scintilla nel mezzogiorno freddo e penso che ha ragione di voler stare in questo suo cantuccio semplice di pietre, cielo e acqua che gorgoglia dalla fontana staccando i pezzi di ghiaccio lasciati dalla notte.
Mentre torno verso casa con il sole che mi scalda attraverso il parabrezza, sento il ginocchio gonfio e sono certo che la giornata di oggi non sia stata solo un esercizio fisico: so anche di aver scoperto un angolo di mondo, un’esistenza umana ed una storia da raccontare.
C’è qualcosa sulle montagne che non si trova lì appoggiato come un cristallo o un fiore da prendere e portare via, c’è qualcosa che ci si accorge d’aver trovato senza la cognizione precisa del dove e del quando, qualcosa che si capisce di aver portato giù a fine giornata insieme con la fatica fatta e i profumi respirati.
Salire, sputare l’anima, arrancare…saper soffrire finchè si finisce noi o finisce la montagna ci avvicina alla nostra intimità, ci obbliga alla sincerità con noi stessi e con quello che ci sta attorno, ci fa sentire umili e al contempo coraggiosi di fronte al mondo, ci restituisce a un tempo antico fatto di ritmi lenti perché tutto è da conquistare, un passo alla volta, un poco per volta.
Per questo ho rispetto per la gente della montagna, per la fatica di vivere, per chi non ha tutto facile e per chi non si tira indietro di fronte a una mulattiera scivolosa da fare tutti i giorni per tutta la vita. Qualcuno può riconoscerci un supplizio tantalico, qualcun altro sa vederci una qualche forma di ricompensa data dal colore meraviglioso che hanno le montagne illuminate dal sole d’inverno… ma questo, nei cataloghi fatti per vendere le bici, non lo scrive nessuno.
Vostro
Bikerciuc
Immagini in allegato:
1 il Maomet di Bruzolo
2 Muri di Valle
3 inverno 2009/2010
http://www.mtb-forum.it/community/forum/picture.php?albumid=4936&pictureid=33979
Per la valle sono passati i guerrieri Celti, i Romani, Annibale, i Franchi di Carlo Magno, i Saraceni ed i pellegrini diretti a Roma, i “bögianen” Piemontesi che resistettero all’Assietta, Napoleone, i fascisti ed i partigiani, il giro d’Italia e la fiaccola olimpica, i treni che hanno portato la gente a sciare o a lavorare ed i cortei contro il treno.
La bassa valle ha due facce, “l’indrit” (indiritto = versante solatìo) e “l’invers” (inverso= versante bacìo) e questo dualismo non si limita a una connotazione geografica, trascende verso implicazioni più elevate quali il misticismo e la coltivazione della vite e finisce per rendere diversi anche gli abitanti.
L’indrit è il versante più materiale e pagano: C’è il Rocciamelone che fu sacro ai Celti prima che consacrato alla Madonna, ci sono i terrazzamenti dove maturano le uve di “avanà”, c’è il Maömet, le fabbriche o le ex fabbriche rosse, la borgata dove quei due qualche anno fa nascosero la bara con Enrico Cuccia dentro, e, in fondo, là dove la valle diventa pianura anche il Musinè: la montagna magica degli alieni.
L’invers è il versante pio per eccellenza…la via Francigena,le chiesette della Madonna della Losa e di S.Saturnino, le certose di Montebenedetto e Banda e, a contrastare il paganesimo new age del Musinè, la mole severa ed ardita della Sacra di S.Michele…con la leggenda della bell’Alda che pur di non esser corrotta nella sua virtù dai mercenari (o saraceni a seconda delle declinazioni) si lanciò dalla rupe ma venne sorretta (e salvata) nella caduta dagli angeli del Signore , sennonché quando volle ripetere il gesto per vanità il Signore si occupò d’altro lasciando che si sfrantecasse sulle rocce sottostanti…
I Franchi di Carlo Magno, che erano dei baciapile, camminarono manco a dirlo sul versante dell’Invers, i partigiani della Garibaldi che erano dei miscredenti bolscevichi su quello opposto.
Lui non era certo là così tanto tempo fa da vedere Annibale, ma mentre in quella mattina fredda di sole dello scorso Inverno mi raccontava la sua vita nello spazio di una sosta nella mia discesa, la terrazza della borgata Leitera superiore di Bruzolo mi parve la galleria di un cinema da cui guardare il mondo scorrere sul fondovalle al confine tra la luce e l’ombra delle montagne disegnata sulla piana. Il mio andare in bicicletta era un miscuglio di sentimenti e di dolore, il ginocchio si piegava a malapena e l’ortopedico mi aveva detto: “faccia un po’ di bicicletta” certo non immaginando che la mia interpretazione del “po’ di bicicletta” prevedesse questa discesa lastricata e infinita che dall’antica Borgata di Maffiotto di Condove porta giù a S.Didero per un migliaio di metri ricchi di ripidi, gradoni, tornantini e, soprattutto, di una spettacolare vista su due montagne sacre a me: il Villano e l’Orsiera.
L’uomo della borgata Leitera, dove si arriva dopo una sezione abbastanza tecnica, abita su quella terrazza naturale da quando è nato. Ora è in pensione. Sta nel suo mondo con due cani dagli occhi gentili che ti abbaiano più per dovere che per convinzione, una damigiana vuota a scolare sopra la fonte, un fuoristrada con qualche anno alle spalle sulla strada (relativamente recente) che arriva fino qui.., ignoro se anche con una donna di Leitera.
La discesa si fa per la vecchia mulattiera. Di qui a giù sono 400 metri di dislivello lastricati e resi scivolosi dai mille e mille passaggi in sù e in giù degli antichi abitanti di questi monti, lui li ha fatti tutti i giorni, a piedi, in discesa prima e in salita poi per andare a lavorare all’acciaieria giù a Bruzolo, con la pioggia e con il sole che asfalta, con il vento furioso che soffia da Ovest quando in Francia fa brutto e con la neve degli almeno trentacinque inverni che gli ci sono voluti a maturare la pensione.
Mi parla in Piemontese, gli rispondo in Piemontese…lingua perduta di gente che ha voluto perderla, la sua parlata è già influenzata dal patöis di matrice franco-provenzale ma riusciamo ancora ad intenderci e capirci, più su per la valle mi si sarebbe rivolto in Occitano, l’antica lingua d’Oc dei trovatori e della repubblica degli Escartons, ma in quell’idioma così affascinante e misterioso non avrei potuto rispondergli.
Gli fa piacere parlare, non dev’essere molta la gente che passa di lì, specie nell’Inverno.
Il sole è alto e caldo, l’aria fredda,secca, limpida e semplice come questi sassi, come la fontana con sopra la damigiana vuota, come il sudore che s’asciuga piano sotto al giubbotto.
Mi dice che adesso ogni tanto qualcuno passa con la bici come me, ma che quasi nessuno si ferma, pochi rallentano..forse nessuno deve mediare la sua velocità di discesa con un ginocchio a pezzi penso…o forse non saprebbero nemmeno che cosa dirgli pensandolo zotico e lontano da una possibile discussione su pezzi al CNC, taratura delle sospensioni, hydroforming e mescole performanti…forse financo del tutto ignorante circa la precisa liturgia che li ricomprende in una categoria di biker (freeriders? All mountaineers ? trailriders?) e della quale vanno, pur negandolo, così orgogliosi.
Tutto sommato però all’uomo di Leitera non importa granchè, lui è fiero di essere lì e di esserci sempre stato…si sente dalla fermezza nella sua voce…guardo la valle che scintilla nel mezzogiorno freddo e penso che ha ragione di voler stare in questo suo cantuccio semplice di pietre, cielo e acqua che gorgoglia dalla fontana staccando i pezzi di ghiaccio lasciati dalla notte.
Mentre torno verso casa con il sole che mi scalda attraverso il parabrezza, sento il ginocchio gonfio e sono certo che la giornata di oggi non sia stata solo un esercizio fisico: so anche di aver scoperto un angolo di mondo, un’esistenza umana ed una storia da raccontare.
C’è qualcosa sulle montagne che non si trova lì appoggiato come un cristallo o un fiore da prendere e portare via, c’è qualcosa che ci si accorge d’aver trovato senza la cognizione precisa del dove e del quando, qualcosa che si capisce di aver portato giù a fine giornata insieme con la fatica fatta e i profumi respirati.
Salire, sputare l’anima, arrancare…saper soffrire finchè si finisce noi o finisce la montagna ci avvicina alla nostra intimità, ci obbliga alla sincerità con noi stessi e con quello che ci sta attorno, ci fa sentire umili e al contempo coraggiosi di fronte al mondo, ci restituisce a un tempo antico fatto di ritmi lenti perché tutto è da conquistare, un passo alla volta, un poco per volta.
Per questo ho rispetto per la gente della montagna, per la fatica di vivere, per chi non ha tutto facile e per chi non si tira indietro di fronte a una mulattiera scivolosa da fare tutti i giorni per tutta la vita. Qualcuno può riconoscerci un supplizio tantalico, qualcun altro sa vederci una qualche forma di ricompensa data dal colore meraviglioso che hanno le montagne illuminate dal sole d’inverno… ma questo, nei cataloghi fatti per vendere le bici, non lo scrive nessuno.
Vostro
Bikerciuc
Immagini in allegato:
1 il Maomet di Bruzolo
2 Muri di Valle
3 inverno 2009/2010
http://www.mtb-forum.it/community/forum/picture.php?albumid=4936&pictureid=33979