Ser Percora, se posso permettermi, non condivido una sola parola di quello che hai scritto. Anzi alcune, considerazioni sono giuste, e anche il significato originario di ἀγωνία è corretto, ma relativamente alla sostanza sono in totale disaccordo.
Parto dal contestarti elementi di contorno: che agonista significhi basso rispetto per gli altri è del tutto falso. In gara trovi i cani rognosi, e trovi i galantuomini. Nella gara 2010 che la mia società organizzava sul monti campiani di Brescia, accadde che un tal Roberto, all'epoca M5 (oltre 50 anni), e che di premi nazionali e internazionali ne ha vinti tanti, cadesse rovinosamente, facendosi molto male. Fu soccorso subito da tale Leo (anche lui all'epoca M5 e diretto avversario e pluripremiato), che si fermò per aiutare il rivale di sempre e non concluse la gara, che avrebbe certamente, a quel punto, vinto.
Forse non ci crederai ma di questi episodi le nostre gare sono piene. Certo c'è anche chi bestia è e bestia rimane, ma non ha bisogno delle gare per dimostrarlo, basta un incrocio stradale.
Nell'accezione cristianizzata di Agonia, c'è anche, è vero, il senso di "qualcosa che conduce alla morte" - stato di sofferenza che precede la morte - che deriva dalla logica del porsi dalla parte del perdente. Cioè di colui che nella dialettica servo-padrone, soccombe ed è disposto ad accettare l'essere servo, per aver salva la vita, ma non è disposto a sottrarsi alla lotta - perché essenza della vita stessa.
Il perdente, per essere tale, deve disputare la gara. Perché anche se è debole, e sa di esserlo, ugualmente non si tira indietro. Guarda l'altro in faccia e, nonostante sia l'altro più forte ha il coraggio di dargli del tu. Lo sfida senza preoccuparsi di temere la sua nemesi. Senza inutili timori. Pagherà con la sconfitta, ma sarà appagato dal fatto che nell'atto agonistico siamo tutti uguali, uniti dalla stessa fatica, dalla stessa passione, dallo stesso timore della sconfitta e dalla stessa possibilità d'esser servi. L'agonista deve essere modesto, anche se a volte non rinuncia a scusanti (ho bucato, mi salta la
catena, sono andato a letto tardi), perché prima di tutto accetta d'essere sconfitto, dal momento che (la statistica insegna) sono di più gli sconfitti dei vincitori.
Al contrario chi illude che l'unica sfida saggia sia quella con sé stessi, chi non si mette in gara con l'altro, l'Altro (con la A maiuscola) non può accoglierlo presso di sé, non ha spazio per l'altro, e non si misura con la propria alterità. S'illude che si possa essere ego autonomi, o come dicono i veneti, monadi: che non è altro che un cervellotico modo per non riconoscere l'altro e la sua reale esistenza.
L'esperienza finale dello shampoo è chiarificatrice, come ha detto qualcuno una volta: ogni atto mancato è un atto riuscito dell'inconscio. Nessuno sapone avrebbe potuto meglio lavarti che il detersivo dei "piatti".
Adesso, però, smettila con raccontare forbite palle a te stesso, e contarla su a noi poveri agonisti della domenica (anche del sabato), unisciti a noi servi, e vieni a confrontarti dove te le possiamo cantare come sappiano: nel fango e nella polvere - sangue e sudore, al ritmo pieno della pompata sui pedali.
Perché tutti sanno è molto meglio pompare in compagnia che da soli... o no?